Norme editoriali: che cosa sono, come applicarle

Norme correzione bozze: ovvero un prospetto universale delle norme editoriali per la correzione di un testo.

Le norme editoriali sono delle regole formali che vengono applicate a un testo destinato alla pubblicazione: possono riguardare molti aspetti diversi, dall’uso dei corsivi e delle maiuscole alla scelta dei colori nei filetti delle tabelle.

Non esiste un codice universale di uniformazione di un testo applicabile in qualunque caso: ogni casa editrice crea nel tempo il proprio normario, ed esso spesso varia a seconda della collana o persino in grazia delle caratteristiche particolari del volume.

Inoltre va detto che l’insieme delle “regole” da seguire è in genere differente a seconda che si tratti di scolastica o di varia, di saggistica o di narrativa…

Sta naturalmente all’editore fornire questo elenco (in genere lungo parecchie pagine) al correttore di bozze come a tutti i collaboratori esterni; quello dell’uniformazione (cioè dell’applicazione delle norme suddette) è del resto uno dei compiti fondamentali del redattore.

Prendendo spunto dai normari dei nostri clienti, proveremo a percorrere un panorama di massima.

Le norme editoriali fondamentali per la correzione di bozze

Abbreviazioni e sigle

La forma delle abbreviazioni deve necessariamente essere uniforme all’interno del volume. Ad esempio si dovrà verificare se “pagina” debba diventare p./pp. o pag./pagg.; se prima di “ecc.” vada messa o tolta (e in genere è così) la virgola; che a.C. e d.C. siano scritti senza spazio – cosa che spesso accade anche per la doppia iniziale di un autore (W.H. Auden) –; che si scriva USA piuttosto che U.S.A., FIAT o Fiat, in maiuscolo o maiuscoletto…

Che cosa si fa di solito:
– le sigle in maiuscolo senza punti: FIAT;
– le abbreviazioni con iniziale maiuscola e punto: Ing. Rossi;
– pagina = p., pagine = pp.

Accenti e apostrofi

Vigono le normali regole della lingua italiana, eppure prudentemente quasi tutti i normari contengono un prospetto dell’uso di accenti e apostrofi. Per esempio, l’apostrofo dopo certi imperativi, l’accento sul “sì”…


Che cosa si fa di solito:
– no apostrofi “dritti” (a bastone), ma apostrofi “graziati” (curvi).
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Bibliografia

Richiede una cura estrema e un ripasso ossessivo delle norme editoriali. Ogni editore la intende a suo modo. Solo alcuni tra i possibili esempi:
Taylor C. (1991): Il disagio della modernità. Trad. it. Roma-Bari: Laterza, 1999.
Taylor C., Il disagio della modernità, Roma-Bari, Laterza, 1999 (1991).
C. Taylor, Il disagio della modernità (ed. orig. 1991), Laterza, Roma-Bari 1999.
…e via dicendo.


Che cosa si fa di solito:
– saggistica umanistica: Cognome Iniziale. (anno), Titolo corsivo, città, editore.
– saggistica scientifica: Cognome, Iniziale. (anno). Titolo corsivo. Città, Stato: editore. (norme APA.)

Citazioni

Dopo quante righe una citazione va tolta dal testo principale e impostata con uno stile diverso (in corpo minore, con rientro, a bandiera, corsiva…)? Che tipo di virgolette si usano? Il riferimento bibliografico o il nome dell’autore vanno messi accanto o in nota, fra parentesi o di seguito, per intero o in forma abbreviata? Tutto questo sarà indicato nel normario e corredato, si spera, di esempi.


Che cosa si fa di solito:
– citazione breve interna al testo: virgolette basse, fonte fra parentesi. Es.: Rossi dice che «le mele verdi sono croccanti» (Rossi, 2012).
– citazione lunga più di tre righe se inserita nel corpo del testo: corpo minore con rientro rispetto al testo, senza virgolette, fonte in fondo fra parentesi.

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Corsivi

Si usano in genere per le cosiddette opere d’ingegno (titoli di libri, film, poesie, canzoni…), per termini stranieri di uso non comune e in poche altre occasioni. 


Che cosa si fa di solito:
– corsivo per titoli di libri, film, opere teatrali, canzoni;
– tondo fra virgolette basse per titoli di quotidiani e periodici (es.: «The New York Times»);
– corsivo per parole che l’autore intende evidenziare in quel momento nel testo (es.: Questo vale per una proprietà privata; se parliamo di proprietà pubblica, allora ci riferiremo alla normativa vigente).

Cifre 

In genere si usa scrivere in parola le cifre da uno a dieci, in numero quelle dall’11 in su; se accompagnate da un’unità di misura abbreviata (cm, kg…) si mettono in genere in numero. Fanno spesso eccezione, nella narrativa soprattutto, migliaia e milioni a cifra tonda (duemila, quattro milioni), ma non le cifre più complesse (15.750). Diciamo che in questi casi il buon senso vale più della regola.


Che cosa si fa di solito:
– testi tecnici: tutto in cifre. No all’uso anglosassone: si mette la virgola, e non il punto, davanti ai decimali e il puntino dopo le migliaia;
– testi generici, narrativa, saggistica umanistica: da uno a dieci in parola, salvo accanto a unità di misura e età; cifra in numero soltanto dove non è sensato trasformare in parola.

D eufoniche

In genere sono concesse solo prima di una parola che inizia con la medesima vocale (“ed essere” ma “e avere”); alcuni la richiedono anche quando la congiunzione è preceduta da vocale (“trovarsi ad essere”).
Che cosa si fa di solito: “ad” e “ed” solo davanti a vocale uguale; mai “od”.

Maiuscole 

A seconda del contesto, una frase come quella che segue potrà essere scritta secondo almeno tre modi possibili di uniformare le maiuscole:
“Il ministro delle Infrastrutture della nazione si pronunciò sulla situazione del Nordamerica”
“Il Ministro delle Infrastrutture della Nazione si pronunciò sulla situazione del Nord America”
“Il Ministro delle infrastrutture della nazione si pronunciò sulla situazione del nord America”

Che cosa si fa di solito:
– si usa il minor numero possibile di maiuscole;
– salvo diversa indicazione o sensatezza, si mette maiuscola solo la prima iniziale in gruppi di parole, Es.: Presidente onorario; 
– si uniformano manualmente tutti i casi uguali o simili fra loro.

Note

Possono essere numerate progressivamente per capitolo, per sezione, o proseguire dall’inizio alla fine del testo.
L’apice della nota si può trovare prima o dopo il segno di punteggiatura, dentro o fuori dalle virgolette della eventuale citazione.
I riferimenti bibliografici in nota possono essere inseriti per esteso, oppure abbreviati (laddove esista una bibliografia), e avere le forme più diverse:
– C. Taylor, 1999, p. 15.
– Taylor C. (1991): Il disagio della modernità. Trad. it. Roma-Bari: Laterza, 1999, p. 15.
– Taylor, Il disagio della modernità, cit., p. 15.


Che cosa si fa di solito: 
– apice della nota dopo qualsiasi segno di punteggiatura;
– numerazione a partire da 1 per ogni capitolo;
– in nota si mette il riferimento bibliografico completo, oppure nel testo il riferimento bibliografico all’americana (Rossi, 2012), ma non le due cose insieme. Se un testo è già stato citato in una nota precedente, si utilizzano Op. cit. per il titolo, ivi o ibidem per il passo nel testo.

Virgolette

Ne esistono tre tipi: basse (« »), alte doppie (” “) e alte semplici (‘ ‘).

Le basse si usano in genere per citazioni e dialoghi, le alte doppie per mettere in evidenza determinate parole e le alte semplici per farlo all’interno di una frase già virgolettata con le alte doppie.
Il livello gerarchico, per così dire, si presenta in genere così: «citazione citazione “frase frase ‘parola’ frase” citazione».
Meno semplice gestire l’uso delle virgolette nei dialoghi: si tratta del caso sul quale le norme redazionali contano più differenze fra un editore e l’altro.


Che cosa si fa di solito:
– virgolette basse solo per le citazioni, alte doppie per tutto il resto;
– punteggiatura fuori dalle virgolette se la frase è retta da un’altra, all’interno se essa si regge da sola
– discorso diretto:

Disse: «Ciao, ci vediamo dopo».
«Ciao, ci vediamo dopo», disse, e uscì.
«Ciao» disse, «ci vediamo dopo.»

Questi a grandi linee sono gli elementi principali che troverete in qualunque normario di una casa editrice. Naturalmente le voci sono, nella maggior parte dei casi, più numerose e specifiche e ciascun redattore si troverà spesso a integrarle a mano per annotare qualche uniformità che non compare nell’elenco .

Vedi anche: Norme editoriali: e quando non ci sono? e Correzione bozze: il criterio di uniformità (di nuovo)

Parliamo in modo approfondito della costruzione di un normario nei nostri nostro corsi di correzione bozze!

 

64 pensieri su “Norme editoriali: che cosa sono, come applicarle

  1. Ciao a tutti, complimenti per il blog!
    Sono una studentessa di traduzione e in una serie di prove una mia professoressa mi ha corretto il punto all’interno delle virgolette, sostenendo che andava messo fuori (ma la frase si reggeva da sola) e mi ha scritto di inserire lo spazio dopo i tre puntini di sospensione, anche se questi chiudevano una frase tra virgolette (“Ho chiamato il tuo direttore a Boston…”). Ora mi chiedo: sono io che sbaglio o è lei che ha delle norme editoriali un po’… personali? 🙂
    Grazie per l’aiuto!

  2. Ciao Roberta, in effetti le norme editoriali non possono essere considerate univoche, l’essenziale è rispettare quelle che vengono fornite. In linea generale si tende a mettere il punto interno alle virgolette se la frase si regge da sola e a non lasciare spazi prima delle virgolette chiuse, ma ti capiterà anche in futuro di incontrare indicazioni contrarie all’uso comune. Ti consiglierei di chiedere alla tua professoressa di preparare per voi un prospetto delle norme che ritiene più giuste, in modo che non si creino equivoci.

  3. Ciao,
    grazie per la risposta, volevo risolvere il dubbio per una questione personale, in modo da esserne più sicura in futuro, anche se so che ogni casa editrice ha le proprie norme. Per quanto riguarda questo corso seguirò senz’altro il tuo consiglio e chiederò alla professoressa quali sono le norme che segue. Grazie ancora e buon lavoro.

  4. Ecco, appunto, in un blog che tratta di norme editoriali e correzione di bozze troviamo orrori di questo tipo: “ogni casa editrice crea nel tempo il propio normario”. L’attenzione e la cura in questo mestiere non sono un optional.
    Alessia

  5. Ecco, appunto, in un blog che tratta di correzione di bozze troviamo un orrore simile: “ogni casa editrice crea nel tempo il propio normario”. La precisione e la cura non sono optional in questo mestiere.
    Alessia

  6. Che dire, hai perfettamente ragione, abbiamo corretto. Ti assicuro che conosco bene il valore di precisione e cura, ma vedi… gestiamo questo blog nei ritagli di tempo libero e non sempre c’è il tempo di ricontrollarlo come faremmo con una bozza! Ti ringrazio comunque per la segnalazione!

  7. E’ sempre utile leggere il vostro blog. Ad esempio la questione delle virgolette mi calza a pennello: scrivendo recensioni spesso mi trovo a virgolettare estratti di testo d’autore e… ahimé, uso le virgolette sbagliate. Da oggi si cambia vita! 😉
    Un caro saluto

    • Credo dipenda dal tipo di pubblicazione. Ipotizzando un testo di carattere economico vedrei bene, per esempio, 3,50 € o 15 RSD (controllare sempre i codici ISO aggiornati per le sigle delle monete), mentre in un contesto discorsivo o non caratterizzato propenderei per: tre euro e 50, 15 dinari serbi (quindi con minuscole e con le cifre inferiori al 10 in parola). Nei testi italiani personalmente prediligo il nome italianizzato di uso comune, quindi sterline e non pound/pounds. Per le valute estere alcuni suggeriscono di utilizzare il nome internazionale in lingua inglese, ma secondo me è una scelta da destinare solo a pubblicazioni di un certo tipo. In genere le norme editoriali danno indicazioni in merito.

  8. Al momento compiendo questa operazione esce il messaggio di errore “Questo download non è stato trovato oppure è scaduto. Riprovate di nuovo”. Se vuoi tentare di caricarlo su qualche altro spazio di condivisione facci sapere! Grazie

  9. Salve, ho un dubbio che mi attanaglia! Quando ci sono le virgolette e finisce il periodo si mette il punto finale se all’interno c’è già un punto esclamativo? Esempio: “Non ci vedremo mai più!”. Da quel giorno… ecc ecc
    Grazie mille e blog fantastico!
    Annalisa

    • Cara Annalisa, anche se ogni editore con il discorso diretto sceglie la propria formula preferita, in genere il punto finale si mette se la frase fra virgolette è retta da un’altra, per esempio:
      Gridò: “Non ci vedremo mai più!”.
      Invece si tende a mantenere solo la punteggiatura interna alle virgolette se si tratta di una frase indipendente, per esempio:
      “Non ci vedremo mai più!” Lo aveva detto con rabbia.

  10. ciao,
    ho un dubbio che forse è anche stupido.
    se prima della chiusura della parentesi tonda ho il punto interrogativo, dopo la parentesi si mette comunque il punto fermo o basta il punto interrogativo a chiudere la frase? quasi dimenticavo, non ho norme editoriali da seguire!
    grazie, spero possiate aiutarmi!
    ciao!

  11. In genere se la parentesi è indipendente, come accade in certi testi specie di narrativa, vale la punteggiatura interna, per esempio così:

    Disse che sarebbe andato a casa. (Certo, che altro avrebbe dovuto fare?) Prese il cappotto e uscì.

    Personalmente non amo molto questa soluzione, ma se fa parte dello stile dell’autore è ammissibile.
    Se invece la parentesi è inclusa nella frase il punto serve:

    Disse che sarebbe andato a casa (certo, che altro avrebbe dovuto fare?). Prese il cappotto e uscì.

  12. un dubbio atroce mi tormenta…
    come si fa a distinguere un maiuscoletto da un maiuscolo scritto con uno o anche due corpi più piccoli?
    so che il maiuscoletto ha la stessa altezza della x minuscola… ma se io diminuisco un maiuscolo di uno o due corpi, finisce col prendere la stessa misura della x minuscola… e qui casca l’asino… o almeno, io di sicuro… come so in quel caso se è scritto in maiuscoletto o in minuscolo ridotto?
    vi propongo un esempio, ciò che mi ha fatto venire questo dubbio, e consultando anche altri libri, non ho trovato risposta.
    a pag. 256 de “Il codice da Vinci” di Dan Brown c’è:
    La BBC lo aveva…
    è solo un esempio, ma mi attanaglia!io lo prendo per un maiuscolo scritto con (uno o due??) corpi inferiori, perché mi pare che il maiuscoletto sia leggermente più… grassottello e scuro…
    sbaglio, dico bene, chi lo sa?
    spero possiate correre in mio aiuto!
    grazie! 😀

  13. Cara Clara, a livello visivo in effetti la differenza è quasi impercettibile: bisognerebbe lavorare sul file di impaginazione per distinguere. Tuttavia mi pare strano (almeno, a me non è capitato) che l’editore utilizzi in un testo di narrativa e con una font delle più comuni un maiuscolo diminuito di corpo piuttosto che un maiuscoletto. In questo momento non ho la possibilità di controllare l’esempio che fai, ti farò sapere!

  14. Il casus belli resta per me il maiuscolo, c’è un’enorme discrezionalità. Anche se si cerca di essere coerenti con una propria serie di norme non è facile. Faccio un esempio relativo all’architettura, cercando di attenermi alla regola generale che le maiuscole vanno limitate. Tutti termini come palazzo, villa, villino li mantengo in minuscolo seguiti dal nome maiuscolo come palazzo Barberini, villa Miani, villino Ruffolo ma che succede quando il termine entra di fatto nella denominazione dell’edificio come Casa Rasini di Gio Ponti? O è meglio casa Rasini? E Palazzo delle Poste o palazzo delle Poste? E ancora palazzo Ducale, Palazzo ducale o Palazzo Ducale? Resta valida la regola che si lascia maiuscola la prima e poi le altre sono minuscole o considero tutto un unico nome proprio in maiuscolo? per esempio, relativamente a una chiesa, Santa Maria Annunziata della Chiesa Rossa o della Chiesa rossa? Le varie norme su questo, non solo differiscono, ma lascano diversi buchi neri. Ciao, grazie.

    • Cara Maddalena, in realtà condivido il tuo disorientamento. Io credo che, proprio perché una regola condivisa forse non esiste, l’importante sia adottare in un’opera un criterio uniforme. Dovendo scegliere, forse opterei per Palazzo Barberini, Palazzo delle poste, Palazzo ducale, Casa Rasini (che però in teoria implicherebbe Villa Miani, che effettivamente trovo pesante… e allora quasi quasi abbasserei anche il “casa”), Chiesa rossa.

  15. Infatti, purtroppo anche in questo è difficile stabilire una regola e mantenerla. Norme Electa che girano in rete consigliano addirittura: palazzo Madama, cappella Sistina, teatro alla Scala, ospedale Maggiore, stazione Centrale. Ma per esempio stazione Centrale personalmente lo trovo molto fastidioso. Credo che il criterio debba essere legato al senso di nome proprio che però resta, di nuovo, estremamente discrezionale.

  16. Ho un dubbio da risolvere: se ho le virgolette a sergente che mi aprono una citazione e poi la parentesi quadra con i tre puntini che mi indica un omissis, fra le virgolette e la parentesi quadra devo mettere uno spazio oppure no? Grazie mille! Lilia

  17. Dubbio del giorno: le parole separate da barra devono essere precedute o seguite da uno spazio? La seconda parola deve sempre inziare con la maiuscola se il primo elemento è in maiuscolo?

    Giorno/notte o Giorno/Notte

    Quando si tratta di espressioni più lunghe, lo spazio diventa d’obbligo?

    Uscire per una pizza / Restare a casa

    o

    Uscire per una pizza/Restare a casa?

    Spero possiate fare chiarezza.

    Grazie mille!

  18. SPAZIO UNIFICATORE (o non breaking space. Si fa con Ctrl+Maiusc+Barra spaziatrice e impedisce “a capo” stupidi)
    Ian Fleming, Frederick Forsyth, John Le Carrè e molti altri usano interporre uno spazio tra le « » e la più vicina parola da loro delimitata (ovviamente usando il suddetto spazio “collante”). E’ molto più belllo, più vivo, in quanto dà il senso dell’apparizione di “qualcos’altro”, di diverso dalla narrazione “riportata” dallo scrittore. Di un’azione che si fa strada, si dimena, dal racconto puro e semplice. Poi non si attacca alle lettere (specie le minuscole) diminuandone la immediata interpretabilità. Inoltre, diluisce maggiormente la asimmetria che si origina quando da una parte la « si attacca alla prima lettera e, dall’altra, abbiamo un punto prima della finale ». Esempi:
    «Senz’altro.» oppure « Senz’altro.»
    Nel secondo caso c’è più armonia, equilibrio. (E notate poi come le « » staccate rendano più viva l’espressione: sembrano quasi costituire un “vassoio” per la parola, la presentano in evidenza; oppure uno schermo sul quale la parola/ le parole vengono proiettate. Invece quelle attaccate sono pulciose, si confondono un po’ con le lettere e rendono più smorta l’espressione). I problemi di lettura, ed altri, aumentano quando vi sia una frattura descrittiva nella frase (o come si chiama, cavolo!), tipo:
    «Questa donna é» ci tenne a scandire le parole «omertosa».
    « Questa donna é » ci tenne a scandire le parole « omertosa ».
    QUESTIONE NORME EDITORIALI. Se lo scrittore produce qualcosa in campo artistico, e non matematico, anche se non è esattamente come un pittore alla prese con la sua sola fantasia, in quanto lo scrittore ha un problema di immediata fruibilità del suo scritto; se cioè deve solo farsi intendere in maniera chiara e univoca da chi legge (seguendo pure la grammatica, edidentemente), mi si sa dire per quale motivo uno scrittore dovrebbe essere soggetto alle Norme Editoriali di quello o di quell’altro editore? Una volta ottemperato al criterio di coerenza & interpretabilità chiara, non si capisce come questo dictat editoriale non debba essere visto come una intrusione nel testo, cioè nell’opera artistica, dello scrittore. Mi spiego? Insomma, il negoziante o lo sponsor di un pittore dovrebbe forse intervenire nel “testo”, cioè nel dipinto?
    A me pare assurdo e, una volta vagliata il particolare stile usato dauno scrittore dal punto di vista della coerenza stilistica e grammaticale, e da quello della capibilità, non si capisce cosa possa autorizzare un editore a imporre spazi, o no, delimitati dalle virgolette. Per dire. Ha ragione Vicki Satlow; gli scrittori in Italia paiono servi sfruttati dagli editori. Spesso.
    akirod

  19. Salve, avrei un dubbio su come riportare delle citazioni di un libro. Tra due persone che parlano, nel romanzo che sto correggendo, interviene la voce di un giornalista televisivo. La mia domanda è: come devo riportare queste citazioni? In corsivo? Il normario della casa editrice consiglia di usare poco il corsivo. Grazie in anticipo

    • Ciao.

      Non so perché ho ricevuto la tua mail, ma in ogni caso apprezzo la tua intenzione di pubblicare testi nel modo migliore. Da oltre 40 anni sono traduttore da inglese e francese e revisore di testi, secondo la regola fondamentale di fare il possibile per diffondere solo buoni esempi (evitando, tra l’altro, le nefandezze dell’itanglese di moda e le idiozie come “e quant’altro” invece di “eccetera” o “piuttosto che” per “oppure”).

      Oltre all’allegato, consiglio il Manuale di stile di R. Lesina (ed. Zanichelli) e la grammatica italiana di Luca Serianni.

      Le norme editoriali del tuo PDF mi sembrano, a una prima rapida lettura, piuttosto valide.

      Buon lavoro.

      [Lv] ________________________________

    • Caro Umberto, se non ci sono molti “precedenti” editi ufficialmente in lingua italiana un normario come quello linkato può aiutare, meglio ancora un riferimento come il Nuovo manuale di stile (Zanichelli) da cui ricavare le norme più adatte al genere.

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